La Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali
La CEDU, firmata a Roma il 4.11.1950, ha istituito un sistema di protezione collettiva di natura prevalentemente giudiziaria imperniato sulla Corte europea dei diritti dell’uomo che vincola i 46 Stati firmatari.
Aspetto centrale della Cedu è il ruolo sussidiario della Corte Europea: ciò non vuol dire che la Corte abbia una funzione ridimensionata e subordinata all’interno del sistema, ma che gli Stati membri debbano per primi rispettare e tutelare in modo effettivo i diritti e le libertà riconosciute ed elencate nella Convenzione mediante strumenti di diritto nazionale.
La Corte: quali sono i casi di cui può occuparsi?
La Corte europea dei diritti dell’uomo è l’unico organo giurisdizionale previsto ai sensi dell’art. 32 CEDU che tutela i diritti e le libertà dell’uomo ed alla quale i privati cittadini, oltre che gli Stati, possono ricorrere qualora ritengano di essere vittime di una violazione riconosciuta dalla Convenzione. La Corte europea dei Diritti dell’Uomo è competente ad esaminare in determinate circostanze, istanze sollevate dagli Stati, singoli individui o gruppi di persone che ritengano che i propri diritti e/o libertà riconosciuti dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo siano stati violati. I diritti garantiti sono enumerati nella stessa Convenzione e nei Protocolli ratificati dagli Stati Membri: Diritto alla vita; Proibizione della tortura; schiavitù e del lavoro forzato; Diritto alla libertà e alla sicurezza; Diritto a un equo processo (tribunale indipendente ed imparziale, durata ragionevole, principio di innocenza); Diritto al rispetto della vita privata e familiare; Libertà di pensiero, di coscienza e di religione; Libertà di espressione, Libertà di riunione e di associazione; Protezione della proprietà; Divieto di imprigionamento per debiti; Libertà di circolazione.
Qualora la parte ricorrente sostenga di essere vittima diretta di una o più violazioni da parte di uno o più Stati Membri, essa può rivolgersi alla Corte.
La Corte può pronunciarsi esclusivamente sulle doglianze relative alla violazione di uno o più diritti garantiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli.
Ai sensi dell’articolo 35, la Corte non si può occupare di ricorsi che non soddisfino le condizioni di ricevibilità, quindi può essere adita soltanto dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne ed entro sei mesi dalla data della decisione interna definitiva.
È pertanto essenziale che, prima di adire la Corte, la parte ricorrente abbia esperito tutte le vie di ricorso interne previste dall’ordinamento dello Stato chiamato in causa che avrebbero potuto porre rimedio alla situazione lamentata; in caso contrario, è suo onere provare che tali vie di ricorso sarebbero state inefficaci.
La parte ricorrente ha sei mesi di tempo per adire la Corte dal momento in cui la più alta autorità nazionale ha emesso una decisione in merito al suo caso. Tale termine inizia a decorrere dal momento della notifica (all’interessato o al suo rappresentante legale) della decisione definitiva pronunciata nell’ambito dei mezzi d’impugnazione ordinari e non invece a partire dal successivo rigetto di un’eventuale istanza di revisione del processo (ricorso straordinario), di una domanda di grazia o di amnistia o di qualunque altra istanza rimessa alla completa discrezionalità delle autorità. Nei processi penali i sei mesi decorrono dalla data del deposito della decisione in quanto non è previsto l’avviso di notifica.
Il termine di sei mesi viene interrotto dalla data di spedizione della prima missiva alla Corte con cui la parte ricorrente esponga, chiaramente, benché sinteticamente, l’oggetto delle sue eventuali doglianze, oppure dall’invio del formulario di ricorso debitamente compilato.
A titolo puramente informativo, segnaliamo che l’attività della Corte ha registrato, negli anni un andamento sempre crescente: il numero dei ricorsi presentati è aumentato di circa il 130 % tra il 1998 e il 2001 e, dalle statistiche ufficiali del biennio 2004-2005, risulta che il numero dei ricorsi presentati nel corso dell’anno si attesta tra i 42 mila e i 44 mila. Nel corso del 2004 la Corte aveva reso 718 sentenze di merito (47 relative all’Italia), tra le quali 588 hanno evidenziato almeno una violazione della CEDU; nel 2005 si è registrato un sensibile aumento, superando per la prima volta le mille sentenze (1105, per l’esattezza, di cui 1040 di merito, 79 delle quali relative all’Italia), delle quali ben 994 hanno rilevato una violazione della Convenzione.
Come rivolgersi alla Corte?
Innanzitutto, si deve esaminare la questione della lingua. Il regolamento della Corte, ai sensi dell’art 34, 1° comma, stabilisce che le lingue ufficiali della Corte sono il francese e l’inglese, mentre il 2° comma prevede che nella fase anteriore alla decisione sulla ricevibilità tutte le comunicazioni e osservazioni presentate dal ricorrente individuale o dal suo rappresentante legale possano essere redatte nella lingua ufficiale della Parte contraente.
E’ evidente che la ratio del 2° comma del regolamento della Corte è quello di avvicinare i singoli individui alle istituzioni europee in quanto imponendo l’uso di sole due lingue non si sarebbero tutelati effettivamente i diritti e le libertà riconosciuti dalla Convenzione, dunque nel caso le risulti più agevole, la parte ricorrente potrà scrivere alla Cancelleria nella lingua ufficiale di uno degli Stati membri.
Il ricorrente può adire la Corte con una semplice lettera esclusivamente per posta ordinaria. Nel caso in cui il ricorso sia inviato tramite posta elettronica o telefax, deve imperativamente seguire una conferma scritta del ricorso per posta ordinaria. E’ inutile che la parte ricorrente si rechi personalmente a Strasburgo per esporre il caso oralmente.
A riscontro della prima lettera o del formulario di ricorso, la Cancelleria della Corte invierà nel primo caso il formulario, nel secondo caso una risposta, informando la parte ricorrente dell’apertura a suo nome di un fascicolo di ricorso il cui numero di riferimento dovrà essere citato in tutta la corrispondenza successiva. È possibile che in seguito vengano richiesti documenti, informazioni o spiegazioni complementari relativi al ricorso. La Cancelleria non è abilitata, invece, a fornire informazioni sulle disposizioni di legge in vigore nello Stato contro il quale è presentato il ricorso o consulenze giuridiche riguardanti l’applicazione e l’interpretazione del diritto nazionale.
Nel caso in cui l’attore non rispondesse a qualunque comunicazione proveniente dalla Cancelleria entro un anno a far data dalla sua spedizione si procederà alla distruzione del fascicolo.
I ricorsi previsti dalla CEDU
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo prevede che la Corte possa (esaminare e) decidere su due tipi di ricorsi:
a) i ricorsi interstatali (art. 33 Cedu)
b) i ricorsi individuali (art. 34 Cedu)
Ricorso individuale: soggetti legittimati
La Convenzione all’art. 34 ha introdotto diritto di ricorso individuale. Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo può essere presentato da una persona fisica o giuridica che sia stata parte (attrice o convenuta o imputata) in una controversia davanti ai giudici nazionali (civili, penali o amministrativi).
Quando un individuo o un ente non governativo ritiene di essere stato vittima di una violazione di uno dei diritti e/o delle libertà fondamentali da parte di uno degli Stati aderenti alla Convenzione, può presentare ricorso alla Corte. Possono essere presentati alla Corte solo i ricorsi diretti contro gli Stati firmatari della Convenzione Europea che riguardano avvenimenti posteriori alla data in cui lo Stato ha sottoscritto la Convenzione.
Il testo della norma sancisce che il ricorso individuale possa essere presentato da persone fisiche, organizzazioni non governative e gruppi privati.
Come si propone il ricorso?
Il ricorso individuale si propone inoltrando una lettera (raccomandata internazionale) denunciando le violazioni che si ritiene di aver subito, al Cancelliere della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La missiva può essere redatta personalmente dal cittadino, in lingua italiana, senza seguire particolari formalità e senza l’assistenza dell’avvocato (sebbene appaia opportuna la consultazione di un legale). Nella lettera deve essere esposto sinteticamente l’oggetto delle doglianze, precisando quali siano i diritti garantiti dalla Convenzione violati dallo Stato. Altresì, è essenziale che il singolo individuo riporti le decisioni adottate a suo danno dalla pubblica autorità, precisando per ognuna di queste la data e l’autorità che le ha emesse ed accennando brevemente il loro contenuto (qualora si voglia trasmettere la documentazione, è sufficiente allegare copie degli atti – poiché i documenti inviati non vengono restituiti).
La Corte, nel rispondere al cittadino, trasmette anche un formulario del ricorso da redigere e da spedire in triplice copia entro sei settimane dal ricevimento della comunicazione (anche se di solito vengono accettati anche i ricorsi presentati successivamente alla scadenza del termine). Nella missiva, inoltre, la Corte indicherà un numero di riferimento che corrisponde al numero della pratica e che deve essere riportato nelle comunicazioni successive.
E’ fondamentale rispettare le condizioni indicate dall’art. 35 della Convenzione, affinché il ricorso alla Corte europea sia dichiarato ricevibile:
l esaurimento delle vie di ricorso interne;
l il ricorso deve essere presentato, a pena di decadenza, entro 6 mesi dalla decisione interna definitiva;
l non deve essere anonimo;
l non deve essere essenzialmente identico ad uno precedentemente esaminato dalla Corte o già sottoposto ad un’altra istanza internazionale d’inchiesta o di risoluzione se non contenga fatti nuovi;
l il ricorso sia compatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli, palesemente fondato o non abusivo.
Indennizzo
La CEDU prevede che se la Corte accerta e dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dello Stato membro non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.