La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale
La responsabilità contrattuale deriva dall’inadempimento o inesatto adempimento di un’obbligazione già esistente tra le parti. In particolare, a fronte di un mancato o inesatto adempimento, dipendente da cause non imputabili al debitore, per esempio negligenza, all’obbligazione originaria si sostituisce quella di risarcire il conseguente danno patito dal creditore. Tale forma di responsabilità va tenuta distinta da quella extracontrattuale che consegue alla commissione di un fatto illecito, di un fatto, cioè, lesivo dell’altrui sfera giuridica.
In tal caso tra le parti non preesiste alcun legame obbligatorio, è dopo la commissione del fatto illecito che sorge l’obbligazione di risarcimento.
L’art. 2043 c.c. recita: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Il danno ingiusto, appare il danno ingiusto non iure, ossia comportamento non giustificato dall’ordinamento, e contra ius, cioè lesione di un interesse giuridicamente apprezzabile e tutelato dall’ordinamento. Il comportamento attivo omissivo deve essere causa del danno ingiusto.
In altri termini, il danno deve essere conseguenza immediata e diretta di tale comportamento.
Nel nostro codice civile si fa spesso riferimento a varie possibili graduazioni della colpa: a) colpa lieve, determinata dalla violazione della diligenza media; b) colpa grave, che deriva dall’inosservanza non solo della diligenza del buon padre di famiglia, ma di quel minimo di prudenza e avvedutezza che tutti dovrebbero usare nell’agire. Le principali differenze di disciplina tra i due tipi di responsabilità riguardano:
a) la fonte: quella contrattuale è conseguenza di una violazione di un diritto relativo, quella extracontrattuale di un diritto assoluto;
b) l’onere della prova: mentre in caso di inadempimento è il debitore che deve dimostrare la sua mancanza di colpa, in caso di illecito extracontrattuale, incombe sul danneggiato la prova della colpa dell’autore dell’illecito;
c) la prescrizione: mentre il diritto al risarcimento dei danni che derivano dall’inadempimento di un’obbligazione si prescrive in dieci anni, quello per i danni da fatto illecito si prescrive in cinque anni;
d) i danni da risarcire: mentre al responsabilità contrattuale sembra limitata ai danni che potevano prevedersi al momento in cui è sorta l’obbligazione, la responsabilità extracontrattuale comprende anche i danni non prevedibili al momento del fatto.
Il diritto al risarcimento presuppone l’effettiva esistenza del danno, quindi, si atteggia diversamente a seconda che sia configurabile un illecito extracontrattuale ex art. 2043 c.c., ovvero un inadempimento ex art. 1218 c.c.. Nel primo caso il problema che si pone è essenzialmente quello della reintegrazione che si risolve innanzitutto se il danno prodotto è permanente, nell’evitare che le conseguenze dannose già prodottesi continuino a prodursi anche per il futuro. Ciò avviene o mediante un risarcimento in forma specifica, secondo quanto previsto dall’art. 2058 c.c., oppure, se tale tipo di risarcimento è in tutto o in parte impossibile o eccessivamente oneroso per il danneggiante, mediante un risarcimento per equivalente, con corresponsione di una somma di denaro. Nasce così un diritto di credito strumentale alla reintegrazione del diritto assoluto.
Responsabilità del professionista
In tema di responsabilità del prestatore d’opera intellettuale l’inadempimento generalmente consiste, ai sensi dell’art. 1176 II comma c.c., nella inosservanza della normale diligenza, valutata con riguardo alla natura dell’attività esercitata, inosservanza che comprende anche la colpa lieve, salvo che, a norma dell’art. 2236 stesso codice, la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, una prestazione cioè superiore a quella ordinariamente propria di ogni buon professionista, nel qual caso il professionista è esente da responsabilità per colpa lieve e risponde soltanto della colpa grave, oltre che del dolo. Incombe al cliente, il quale assuma di avere subito un danno, l’onere di provare la difettosa o inadeguata prestazione professionale, l’esistenza del danno ed il rapporto di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione e il danno medesimo, mentre incombe al professionista l’onere di provare l’impossibilità, a lui non imputabile, della perfetta esecuzione della prestazione.
Per quanto riguarda la difettosità o la inadeguatezza della prestazione professionale, il cliente ha l’onere di fornire alla valutazione del giudice la prova di sufficienti e idonei dati obiettivi, mentre, per quanto riguarda l’onere probatorio a carico del professionista, questi è tenuto a provare che la imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a forza maggiore o a caso fortuito.
Le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risaltato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico si impegna alla prestazione della propria opera per il raggiungimento del risultato desiderato, ma no al suo conseguimento. Ne deriva che l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma dev’essere valutato alla stregua dello svolgimento dell’attività professionale, cioè del dovere di diligenza.
L’obbligo di informazione
Un ruolo determinante nel giudizio di responsabilità assume infine l’obbligo di informazione che il professionista deve adempiere nei confronti del cliente, in particolare, nel settore dell’attività medica.
La giurisprudenza più recente individua la fonte di detto obbligo nella criterio della diligenza, di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. per l’attività dell’avvocato e del notaio, mentre in relazione alla prestazione medica lo fa discendere direttamente dai principi costituzionali, ex artt. 13 e 32, comma 2, Cost., nonché dalla legislazione speciale in tema di consenso ai trattamenti sanitari.
Quanto ai contenuti dell’informazione, la tendenza è nel senso che essa deve comprendere tutti gli aspetti e le prevedibili implicazioni dell’attività professionale, tanto in riferimento al momento dell’assunzione dell’incarico, quanto alla fase di attuazione del rapporto.
In tema di consenso ai trattamenti sanitari: dal “consenso tacito” al “consenso informato”, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai assolutamente costante, deve vertere “sulla natura dell’intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati conseguibili”, estendendosi “allo stato di efficienza e al livello di dotazioni della struttura sanitaria in cui il medico presta la sua attività”, nonché “ai rischi specifici rispetto a determinate scelte alternative e alle varie fasi degli stessi che assumono una propria autonomia gestionale” (Cass. 30/7/2004, n. 14638). Spetterà poi al medico (o alla struttura sanitaria) dimostrare in giudizio di aver esaurientemente informato il paziente (Cass. 23/5/2001, n. 7027).
Responsabilità medica
La responsabilità del medico può derivare a causa di:
l inosservanza degli obblighi o violazione dei divieti imposti al medico dalle leggi e dai regolamenti che disciplinano l’esercizio della professione;
l trasgressione dei doveri di ufficio o di servizio inerenti al rapporto di impiego subordinato da enti pubblici o privati;
l inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto di prestazione d’opera;
l errata applicazione delle regole diagnostico-terapeutiche da cui derivi un danno al paziente.
Il medico può incorrere in varie specie di responsabilità penale e civile:
La responsabilità penale si ha quando la violazione dei doveri professionali costituisce un reato previsto dal codice penale o sia punita dalle disposizioni contenute nel T.U.L.S. o in altre leggi quali le norme in materia di sostanze stupefacenti, di vivisezione o di interruzione volontaria di gravidanza. Questa responsabilità può essere dolosa o colposa, commissiva od omissiva.
La responsabilità dolosa può essere realizzata da trasgressioni volontarie e coscienti, tali da presupporre il dolo, collegate con l’esercizio della professione sanitaria: omissione di referto o di rapporto , interruzione illecita della gravidanza, rivelazione del segreto professionale o d’ufficio, falsità in atti , comparaggio, commercio di campioni medicinali, prescrizione illecita di sostanze stupefacenti, omissione di denuncia obbligatoria, uso illegittimo del cadavere ed infine i reati di sequestro di persona, violenza privata, ispezione corporale arbitraria e incapacità mentale procurata mediante violenza che possono configurarsi anche in seguito a trattamenti medico-chirurgo-anestesiologici senza il consenso del paziente.
La responsabilità colposa si realizza quando un medico, per negligenza, imprudenza o imperizia (colpa generica) ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica), cagiona, senza volerlo, la morte o una lesione personale del paziente. Nell’ipotesi di colpa specifica, la violazione di norme imposte per legge comporta la presunzione di colpa nei riguardi dei danni conseguenti, senza possibilità da parte dell’incolpato di fornire la prova del contrario (errore inescusabile)
La colpa può essere:
1) grave, quando non viene usata la diligenza, prudenza e perizia propria di tutti gli uomini, tale da essere inescusabile;
2) lieve, quando non viene usata la diligenza, prudenza e perizia propria di ogni uomo di media capacità;
3) lievissima, quando non viene usata la diligenza, prudenza e perizia propria delle persone superlativamente dotate di oculatezza e prudenza.
La responsabilità civile del medico può esser contrattuale o extracontrattuale e si instaura dai rapporti di diritto privato che il medico esercente contrae col proprio cliente.
La prima si realizza quando un paziente richiede una prestazione sanitaria ad un determinato medico o ad un Ente, che accetta di fornirla. L’inadempienza comporta una responsabilità contrattuale. Se in seguito all’inadempienza si verifica anche un danno o la morte del paziente si ha concorso anche di responsabilità extracontrattuale.
Mentre la responsabilità extracontrattuale si ha quando, a causa di una prestazione effettuata in via occasionale o in situazioni di urgenza, viene provocata la morte o una lesione al paziente si incorre in una responsabilità extracontrattuale.
Il medico è responsabile dei danni cagionati al paziente anche per la colpa lieve, quando, di fronte ad un caso ordinario, non abbia osservato le regole della comune preparazione professionale e della media diligenza; di fronte a casi straordinari o eccezionali risponde invece solo per dolo o colpa grave.
La colpa grave nei casi difficili diventa equivalente alla colpa lieve nei casi facili. Questo concetto della relatività della colpa, rispetto alle difficoltà dell’intervento, ha la sua rilevanza sul regime delle prove: per l’intervento facile (così come per l’obbligazione di risultato) il danneggiato non ha che da provare il danno presumendosi la colpa del medico, mentre per l’intervento difficile il danneggiato dovrà provare, oltre al danno, la colpa del medico.
In caso di errore diagnostico o terapeutico possono concorrere sia la responsabilità contrattuale, per inadempimento degli obblighi assunti, che quella extracontrattuale, per danni provocati al paziente con gli eventuali benefici di quanto previsto all’art. 2236 c.c..
Tra il medico dipendente, l’Ente pubblico o privato di assistenza ed il paziente si costituiscono tre distinti rapporti con la possibilità di un quarto:
1) uno di tipo contrattuale tra il malato e l’Ente sanitario cui lo stesso si rivolge per assistenza;
2) uno di tipo extracontrattuale tra il malato ed il medico di turno che è tenuto al generale principio del “neminem laedere”;
3) uno di tipo contrattuale tra l’amministrazione sanitaria ed il medico dipendente dal quale la prima ha diritto di ottenere un corretto adempimento dei suoi doveri e l’eventuale rivalsa economica;
4) uno di tipo contrattuale tra il medico ed il paziente in occasione di prestazione libero professionale.